Abitare l’immaginario
Che cosa caratterizza l’abitare un mondo in cui il radicarsi in un luogo sembra perdere progressivamente senso? Per millenni si è costruito un modello dell’abitare fondato su criteri di stabilità e di possibilità di radicamento. Oggi la casa è un “luogo, uno spazio, non tanto fisico quanto piuttosto mentale, e l’abitare - difficile pensarlo come scelta definitiva - è diventato soprattutto la necessità di avere un paesaggio mentale nel quale esistere. Forse è sempre stato così, eppure la consapevolezza che le case della nostra infanzia non saranno più quelle della nostra vecchiaia è una consapevolezza sempre più forte ma abbastanza recente. Molti, perciò, saranno gli strati dell’abitare che si accumulano nel ricordo: molte case, molti spazi, molti oggetti compagni di una quotidianità instabile. Questa è, quindi, l’immagine dell’abitare di oggi; un’immagine in movimento e in mutazione, nata da un’estetica della “peribilità” che capovolge l’idea di tradizione, di repertorio e di canone.
L’idea dell’abitare, in qualche modo, attraversa gli ultimi lavori di Alejandra Seeber, artista argentina, che vive tenendo insieme Buenos Aires e New York, e che presenta qui per la prima volta il suo lavoro in Italia. Dipinge dal 1991 in modo acceso spazi disarticolati e spezzati d’interni: case, appartamenti, stanze d’albergo, frammenti. Si appartiene alle cose e ai luoghi in cui si vive; anche quando saremo costretti ad andare via, le cose e le case ci seguono nella nostra memoria. E’ come se i luoghi fossero colpevoli della nostra vita.
Alejandra Seeber vive le stanze che dipinge con questa convinzione, cercando ogni volta d’immaginare l’abitante di quella camera tentando di ricostruire l’identikit di chi vi abita. Dipinge sempre stanze vuote, dove i segni sulle poltrone e la disordinata disposizione degli oggetti, lasciano immaginare che qualcuno sia appena uscito. Così sembra che l’artista inviti a entrare e ad accomodarsi nei suoi interni, a curiosare, a prendere possesso di quelle cose; a girovagarvi cercando segni di un carattere e di un’abitudine. Comprovare se il nostro spazio è più confortevole, se quello in cui siamo appena entrati ci piace o ci porta in superficie il ricordo di una qualche memoria. Perché uno spazio dice di più di quello che è - conferma l’artista- e mi piace che si possa immaginare il resto. Gli spazi dei suoi quadri sono atmosfere sospese, o perché qualcosa si è appena consumato o più semplicemente perché il set è pronto per qualcosa che deve accadere.
Per quest’artista, il passaggio dal colore descrittivo a quello significante è un’esperienza nota, tant’è che i suoi spazi si profilano e si generano da macchie colorate che solo per un istante lasciano riconoscere oggetti e sagome per ridiventare, subito dopo, macchie di colore e niente di più. Nei suoi quadri la partitura dello spazio è dato per tagli, macchie, collage. In questo modo, figurativo e astratto convivono in un continuo scambio linguistico d’immagini che spariscono come figurazione e si trasformano in campiture astratte. Non si tratta quasi mai di spazi interamente riprodotti dal vero, ma sempre d’interni restituiti dalla somma di ricordi, frammenti di memoria, parti d’arredamento, spazi vuoti e densi. Sono immagini messe in moto perché raccontano il tempo e la vita trascorsa dentro e risultano finite soltanto dopo una lunga e abile trasformazione dello spazio pittorico. Per questo motivo, il ritmo, è parola utile per parlare della sua pittura: una “pittura ritmica” fatta di rotture, tagli, angoli, figure geometriche, inserzioni di dati oggettuali, scarti, vuoti, sovrapposizioni e, ancora, vere e proprie cuciture. A volte unisce due pezzi di un’unica tela precedentemente tagliata per ottenere due fotogrammi temporali di un unico ambiente. Altre volte, invece, il trascorrere del tempo e della vita in un dato spazio emerge nella pittura stessa. E’ il caso di Antes y ahora in cui s’individua il passaggio temporale nella divisione dello spazio in due ambienti: il “prima” -una sorta di vuoto rosso da cui si ritagliano poche silhouette bianche – e l’’adesso’ descritto con ricchezza di particolari e dettagli di vita quotidiana. In Chimenea, un esempio ancora diverso, lo spazio della stanza nasce dalla somma di ricordi, di appunti di viaggio ricostruiti visivamente insieme. Un quadro che ho iniziato a Venezia – racconta Alejandra – ed è la mia prima opera venuta fuori dall’impatto con il Barocco e la cultura antica europea. I bicchieri e il camino esistono nella realtà, sono ad Aix en Provence, mentre la tenda è a Venezia. E’ un quadro di un diario di viaggio..
Un altro
tema importante - utilizzato dall’artista per spingere la pittura a
moltiplicarsi e a dipanarsi in più spazi - è quello dello specchio. Per il quadro intitolato “Le Corbusier”
- una grande tela della serie degli specchi - l’artista si è ispirata a un
disegno di Francis Jordain che rappresenta un ambiente razionalista. Qui lo
specchio è diventato una soluzione pittorica: l’artista ha dipinto l’immagine
dell’interno su una metà della tela che poi ha piegato calcandola sull’olio
ancora fresco. Lavorare sul tema dello specchio permette all’artista di
confondere ancora di più il gioco tra le cose e lo spazio, tra la realtà e
l’astrazione, tra i riflessi e la densità dell’oggetto, restituendo alle volte
figure che non sono altro che macchie di colore. Ancora un esempio su questo
tema è Espejo grande, in cui lo
specchio, indicato semplicemente da una vasta campitura azzurra e densa, non
riflette niente ed è ritratto soltanto delimitato da una cornice. E’ più simile
a un paesaggio marino e alla sua costa. E’
uno specchio di vampiri che non riflette niente ma vampirizza, assorbe tutto
piuttosto che riflettere l’immagine. Un quadro come un fotogramma di un
tempo vissuto ma anche come una finestra entro cui guardare.
Alejandra Seeber dipinge proponendo il suo particolare punto di vista di fronte alle cose e allo spazio e, nello stesso tempo, ci fa partecipare a un’esperienza in fieri che, nel suo farsi, esplicita il tempo dell’azione. Vorrei che la prospettiva dello spazio che dipingo offrisse veramente una possibilità d’entrata dentro un luogo, così come vorrei pensare che l’artista, quando dipinge, possa ritrovarsi immediatamente dentro il quadro che sta dipingendo. Mi piace restituire in modo letterale questo momento d’ingresso nel quadro e, allo stesso modo, aprire all’occhio dello spettatore uno spazio in cui possa addentrarsi, entrare, muoversi e uscire. Si capisce che al primo posto, per quest’artista argentina, c’è di nuovo la pittura e tutto ciò che riesce ad ampliare le possibilità di questo linguaggio.
Chiara Bertola
Venezia, marzo 2003